E’
esistita per la televisione Italiana, tra gli anni sessanta e settanta,
un’epoca irripetibile, quella degli sceneggiati fatti bene, una televisione di
qualità specchio di un paese che era più di qualità anch’esso, in quegli anni
di boom economico e di passi in avanti notevoli dal punto di vista sociale e
dei diritti umani e lavorativi, prima che tutto annegasse in recessioni e anni
di piombo. Ancora non so spiegarmi perché un paese con molte persone
alfabetizzate alla meno peggio si appassionasse a serie televisive recitate in
un ottimo Italiano, con attori raffinati come Cervi, Gazzolo, Albertazzi,
Buazzelli e Rascel a impersonare i vari Maigret, Holmes, Philo Vance, Nero
Wolfe e padre Brown, e che queste serie le apprezzasse e le ricordi tuttora con
immutato affetto; forse perché molti dei nostri padri/ madri e nonni /nonne avevano si studiato poco ma
erano intelligenti e curiosi/e, e amavano nobilitarsi con la televisione che
era appunto un mezzo per accrescersi culturalmente; perché ora tanta gente
anche laureata scelga regolarmente di abbrutirsi coi reality, quarti gradi,
quinte colonne e altri prodotti di una televisione ormai nemica della cultura e
della decenza è veramente un qualcosa di misterioso, evidentemente si apprezza
il bello solo quando è irraggiungibile e una volta a portata di mano lo si
schifa.
Beh,
si diceva di questi sceneggiati RAI dei tempi d’oro; in Italia si capì prima
che altrove che si poteva fondere con ottimi risultati letteratura (un classico
o comunque un romanzo famoso come punto di partenza) teatro (gli attori
protagonisti venivano quasi tutti dal teatro, e spesso le riprese erano in
presa diretta e appunto di taglio molto teatrale) e cinema (perché comunque si
girava anche in esterni) per creare prodotti mai visti prima, riuscitissimo
connubio di tre arti che non ha avuto eguali altrove. Oggi, parte di questa
tradizione sopravvive sicuramente nella riuscita serie del Commissario
Montalbano con Zingaretti, anche se il macchiettismo ostentato di molti
comprimari è veramente stucchevole.
Di
sceneggiati memorabili anche solo di genere poliziesco ce ne sono moltissimi,
anche creati ex novo; dal mitico “Segno del comando” ambientato in una Roma
sghemba e notturna del tutto inedita, al bellissimo e inquietante “Ritratto di
donna velata” ambientato nella mia Toscana, all’altrettanto suggestiva Sicilia
de “L’amaro caso della Baronessa di
Carini” i superlativi si sprecano.
Ma
il grosso della produzione, nella tradizione degli sceneggiati,era tratto da
opere già esistenti, alcuni veri e propri masterpiece, e la serie a cui sono
più affezionato (anche se forse come qualità effettiva i migliori in assoluto
sono i tre Philo Vance con Giorgio Albertazzi) è senz’altro il Maigret di Gino
Cervi, e non solo perché quest’ultimo sarà sempre il mio amatissimo Sindaco
Giuseppe Bottazzi detto Peppone, ma perché questo grande attore ERA Maigret, e
lo stesso Simenon ammise che, tra i tanti, Gino Cervi era senz’altro colui che
si avvicinava di più al personaggio.
Ma
non era il solo Cervi a funzionare; la grande Andreina Pagnani era una signora
Maigret altrettanto esemplare, e i comprimari di ogni episodio, tutti attori di
gran classe ed esperienza, contribuirono a creare uno prodotto giustamente
rimasto negli annali della tv e, cosa ancora più importante, nel cuore della
gente.
Per
il primo episodio della fortunata serie durata dal 1964 al 1972, oggi diremo il
“Pilot” , fu scelto uno dei più bei romanzi di Simenon, ovvero “Cecile est mort”
da noi noto con il comunque azzeccato “Un’ombra su Maigret”.
Questo
romanzo ha in se tutte le migliori qualità dello scrittore; la rappresentazione
della Parigi del tempo talmente vera da essere in parte idealizzata (Simenon,
dal dopoguerra in poi, visse perlopiù negli Stati Uniti e scriveva di Parigi
mentre si trovava in Texas o in Arizona…) i delicati ritratti di persone ai
margini della società e la grande umanità del commissario, gli ingredienti dei
Maigret migliori; ma a tutto questo in Cecile est mort si associa anche una
trama poliziesca robusta (cosa molto rara in Simenon, che non era certo
giallista funambolico) e una soluzione finale degna di un’Agatha Christie, che
aggiunge valore a un testo già preziosissimo.
La
storia, in fondo, è la tragedia di una perdente, la dolce Cecile, ancora
giovane ma già sfiorita, tiranneggiata senza pietà da una zia paralitica gretta
e meschina; di donne così, che per chissà quali motivi reconditi rinunciano a
vivere e si votano al sacrificio per gente che nemmeno le apprezza o le
ringrazia ce ne sono molte ancora oggi, ma ai tempi di Simenon era ancora più
semplice tenere una donna, specie se zitella e di pochi mezzi, sotto il tacco;
e come l’autore, dalla forte personalità e assiduo frequentatore di ben altri
tipi di donne sia riuscito a rendere tanto bene una personalità così agli
antipodi della sua è semplicemente l’ennesima dimostrazione del suo genio
letterario.
Cecile,
sulle prime, per il povero commissario già oberato di lavoro è solo un grosso
grattacapo; la ragazza infatti si presenta tutti i giorni al commissariato,
aspetta per ore e ore che Maigret e solo Maigret la riceva (che la giovane ne
sia un poco innamorata?)e quando finalmente, per sfinimento, riesce a parlarci,
gli racconta una strana storia di oggetti che cambiano di posto e mobili
spostati durante la notte. Il commissario cerca di aiutarla, manda qualcuno a
indagare, ma poi perde la pazienza e la scaccia dicendole di importunare
qualcun altro con le proprie fisime.
Ma
un brutto giorno la vecchia zia di Cecile viene brutalmente strangolata nel suo
letto e poche ore dopo la stessa ragazza viene trovata anch’essa morta proprio
in uno sgabuzzino del palazzo di giustizia. Maigret è fuori di se per la rabbia
e il senso di colpa, e inizia un’indagine che avrà dei risvolti decisamente
inattesi.
Da
questo romanzo, in fin dei conti abbastanza breve come tutti i Maigret, il
regista Mario Landi trasse appunto l’omonimo sceneggiato in tre puntate dalla
durata complessiva di 3 ore e 40 minuti, ben più del tempo che ci si mette a
leggere il romanzo; questo perché il libro è reso in maniera non solo letterale
ma anche teatrale, Gino Cervi è un Maigret calmo, placido,che almanacca con la
stufa, che si crogiola con un bicchiere di vino, che fissa sorridendo la moglie
che sferruzza; quello che per molti oggi sarebbe un ritmo pachidermico era
invece ciò che nobilitava questi sceneggiati, che rilassavano lo spettatore,
gli raccontavano un romanzo attraverso la parole e le immagini. Io ho già visto
due volte questo splendido episodio scritto bene e recitato meglio, e invito
veramente chi non lo conosce a scoprirlo, preferibilmente dopo aver letto il
romanzo (Che comunque Adelphi pubblica col titolo tradotto letteralmente di
Cecile è morta) e invito chi lo conosce già a rivederlo ancora, perché prodotti
come questo meritano un’ammirazione persistente.