sabato 25 luglio 2015

"UNO STRANO CLIENTE" DI FREDRIC BROWN.


 

Bene, non vedevo l’ora di parlare di Fredric Brown. Chi era? Un maledetto genio della letteratura , poeta degli assurdi universi, cantore dei vagabondi nello spazio, uno che può far passare la voglia di scrivere agli aspiranti scrittori, che potrebbero  sentirsi a disagio per manifesta e palese inferiorità; maestro del racconto folgorante, ed emblema di tutto un modo di concepire la letteratura fantastica Americana, quella delle riviste che ospitavano racconti Fantascientifici, Horror, Thriller e Pulp, dove si fecero le ossa e spesso rimasero  assoluti titani come Robert Bloch, Ray Bradbury, Richard Matheson, poeti dei racconti a un cent la parola, che dovevano intrattenere un pubblico di bassa cultura avido di emozioni   ma che finirono per segnare e plasmare un’epoca, quella della grande fantascienza, di serie capolavoro come “Ai confini della realtà”, della potenza della fantasia. La favolosa, irripetibile America degli anni cinquanta, dalla quale tutti discendiamo un po’. Tutto ciò che adesso vediamo al cinema e in tv viene dall’opera di questi incredibili, talvolta patetici e assurdi, maestri infaticabili della penna, Salgari d’oltreoceano che fabbricavano storie meravigliose ora oggetto di culto e ospitate in collane per intenditori; forse la critica è sempre snob verso questa gente, ma il pubblico no, il pubblico li ha capiti fin da subito, e i loro figli, nipoti e pronipoti continuano ad amarli come grandi classici inattaccabili dal tempo e dalle mode.
 
L'autore
 

Fredric Brown era un sognatore, come detto un Salgariano, che non cantava di giungle o di pirati ma di universi sconfinati, perché al suo genio il solo pianeta Terra andava stretto; di giorno lavorava come correttore di bozze e di sera, con l’aiuto dell’alcool, scriveva storie. Quando aveva voglia d’avventura, faceva lunghi viaggi in pullmann per le vie degli States. Viene ricordato per la produzione fantastica, ma fu anche un grande giallista, perché era di quei geni totali, forse il vero, autentico erede in patria di Poe per la versatilità e folgorante brevità dei suoi scritti, e come lui bevitore, attratto dalle donne, dagli amori impossibili.

Ovviamente, essendo un autore profondamente e veracemente Americano, non scrisse Whodunit di scuola Inglese; i suoi romanzi e racconti sono più vicino ai thriller puri. Il suo miglior lavoro nel genere è forse “The night of the Jabberworck” geniale e allucinata vicenda scandita di derivazione Carrolliana, pubblicato da noi col titolo di “Tutto in una notte” da Mondadori oppure come “Il visitatore che non c’era” da Polillo. Ottimo anche “Screaming mimi”, ovvero “La statua che urla” che ispirò anche uno dei primissimi film di Dario Argento.

Ma il thriller firmato Brown a cui sono più affezionato per una serie di motivi è senz’altro “Uno strano cliente” , romanzo del 1951 dal titolo originale "Death has many doors" pubblicato prima nella serie gialla Garzanti (che pubblicò a suo tempo molti gialli dell’autore) e poi nei classici del giallo Mondadori, che riprende l’ottima traduzione di Livio Cortesi della prima edizione. Si tratta delle quinta avventura con la coppia di investigatori Am e Ed Hunter, rispettivamente zio e nipote, che agiscono in una Chicago già metropoli moderna, tentacolare e spietata.
 

Cover edizione originale e Garzanti, che vertono entrambe su una piccante scena madre....
 
 

Questa volta, ai due efficienti, onesti detective, l’anzianotto e fatalista Am e il giovane, piacente e scanzonato Ed,  capita nell’ufficio Sally Doerr, una ragazza dai capelli rossi e di bell’aspetto, anche se “Niente di troppo notevole, ma poteva tenere il campo fin quando non fosse arrivata una vera bellezza”  molto giovane e spaurita, che sostiene di essere minacciata…dai marziani (Strano, i marziani in Brown, ma pensa…) che  a quanto pare la tormentano con telefonate minacciose perseguitandola senza requie. Am decide di metterla alla porta, ma Ed, attratto da quella rossa innocente e sensuale al tempo stesso, decide di starle vicino, di proteggerla, e la invita a bere un drink. Sally si rivela  ben lontana dallo stereotipo della “vergine Americana” tutta casa e chiesa (evidentemente nelle metropoli dove nessuno conosce nessuno, allora come adesso, i tabù e la morale erano ben più elastici..), che lavora mantenendosi da sola in un appartamentino, beve drink e fuma sigarette, e a 22 anni ha già avuto vari partner, anche di una sola sera.

Ben presto i due giovani si intendono, e Sally ben presto propone a Ed di farle da guardia del corpo installandosi nell’appartamento di lei, in quanto, stando a quello che la ragazza ha raccontato, la visita extraterrestre potrebbe avere luogo proprio quella notte. Lui ovviamente accetta, la serata d’estate è caldissima come solo a Chicago, e non avrebbe dormito comunque, e anche se la tensione sessuale tra i due è palpabile, lui da bravo ragazzo si apposta fuori dalla porta di lei (il lavoro è lavoro…), mentre Sally, dopo essersi completamente denudata (mi immagino i lettori degli anni cinquanta che batticuore, e anche adesso…) si sdraia sul suo letto, forse desiderosa, come dirà poi il cinico Am, che a Ed venisse la voglia di andare a far due chiacchiere con lei.

In effetti, nel bel mezzo della notte, Ed si affaccia, e si, la vede senza veli, ma la ragazza presenta una strana rigidità e non respira; ben presto Ed si rende conto che è deceduta. Il medico personale di Sally, dopo essere stato avvertito, asserisce che la ragazza soffriva di gravi disturbi cardiaci, e quello che è successo poteva accadere in ogni momento. Ben presto Ed viene scagionato da ogni responsabilità e la morte sembra naturale, ma il giovane non si da pace; non crede ai marziani, ma crede che qualcuno volesse fare del male a Sally, anche se non riesce proprio a capire perché ci si dovesse accanire con la povera, sempliciotta, inoffensiva Sally.

Ed fa visita alla famiglia di Sally, e scopre che è stata adottata, assieme alla sorella minore Dorothy, dai coniugi Stanton (parenti dei veri genitori delle due ragazze, deceduti anni prima), che vivono fuori città assieme allo strambo zio Ray, vecchia spugna seppur non privo di acume, e a un inquietante nipotino che si diletta in sciocchi scherzi.

Il tempo passa, e tutto pare tornare alla normalità, Ed stesso si convince pian piano che Sally era nient’altro che una povera cardiopatica con manie di persecuzione. Ma un giorno bussa alla porta degli Hunter una ragazza appena ventenne che somiglia moltissimo a Sally; è ovviamente Dorothy, e anche lei ha bisogno di protezione; per un presentimento non ben definito è convinta che qualcuno voglia ucciderla quella notte. Ed, ormai in balia degli eventi, accetta di fare da cavalier servente, ed esce con la ragazza, disinibita come Sally ma più intelligente e più sensuale; dopo una cena, la ragazza insiste per andare a fare un bagno fuori città; Ed la accompagna, raggiungono un lago isolato, finiscono di bere una bottiglia di Whisky, vanno su di giri e si baciano. Lui vorrebbe “concludere” subito, ma lei lo prega di attendere ancora, ha estremo bisogno di tuffarsi nelle nere acque del lago, di rinfrescarsi; si spoglia completamente (Brown insiste nel tenere alto il tasso erotico, e lo fa con  continue, raffinate e mai volgari allusioni, senza scadere mai nella pornografia…almeno nella traduzione Italiana, sia chiaro) e si getta in acqua, nuotando con decisione, e ben più velocemente dell’impacciato Ed, verso una zattera che si trova al centro del lago; peccato, però, che quella fantomatica zattera la veda solo Dorothy…

Basta, inutile raccontare ancora, basta solo dire al mistero si aggiunge mistero, che a una camera chiusa si aggiunge un delitto impossibile,  per una vicenda sempre più assurda e inquietante nella quale Fredric Brown si conferma un giallista di grandissimo talento, nella tradizione di Carr, Talbot e Rawson. E se la spiegazione del secondo delitto è forse “azzardatina” come nei Carr più spericolati, quella del primo caso è assolutamente geniale e coerente.

In ogni caso, questo “Uno strano cliente” ha dalla sua, oltre che i virtuosismi dell’intreccio, anche una scrittura martellante e mai noiosa, personaggi veri e umanissimi, dialoghi pieni di verve e, come sottolineato prima,  è pervaso da un erotismo elegantissimo che personalmente apprezzo purchè, appunto, resti elegante.

A mio modesto parere, un vero capolavoro. In quanto a voi, fate come me; se vedete su un giallo il nome Fredric Brown, prendetelo,  se vi va male è un ottimo romanzo, se vi va bene, come in questo caso, è un masterpiece.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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