mercoledì 24 giugno 2015

"L'ASSASSINO SENZA MANO" (DALLE FIABE ITALIANE RACCOLTE DA ITALO CALVINO)


Ora, direte, il vostro blogger non sa più cosa inventarsi. Ma ve lo avevo detto nel post dei due anni di blog che avrei "battuto altre strade diverse da quelle convenzionali" e mi sto divertendo a farlo, sperando di interessare anche voi.

In questa occasione  ho scelto di recuperare una delle Fiabe della tradizione nostrana raccolte da Calvino nella sua imprescindibile raccolta e da lui stesso rielaborate, per quello che forse rimane il suo capolavoro assoluto.

Se nelle 200 fiabe della raccolta (Molti di voi, me compreso, si saranno imbattuti in esse nelle antologie scolastiche) abbondano ovviamente gli elementi magici e fantastici, ci sono tuttavia alcune eccezioni come questa "L'assassino senza mano", della tradizione Fiorentina,  che più che una fiaba è una novella nera o gotica, visto che in tutta la storia non si ha nessun elemento soprannaturale, e anzi, tutta la vicenda risulta essere un perfetto thriller, con tutti i crismi del genere esposti in modo efficacissimo, quasi miracoloso.





AVVERTENZA; siccome narrerò la storia per intera spoilerandola, decidete voi se recuperare la novelletta (sono 5 pagine in tutto) oppure continuare la lettura.

La storia inizia come la più classica delle fiabe; c'è un re cattivo e avido che tiene la giovane figlia prigioniera in una torre, per farla sposare a chi pare a lui quando sarà il momento.

Dal regno, un giorno, passa un assassino; non ha nome, ne un passato, ne una professione, viene laconicamente definito assassino e stop, e uccide per il puro piacere di farlo, il tipo, insomma, del Killer seriale (e trattandosi di una fiaba Fiorentina la cosa appare come una premonizione inquietante, visto che tanti anni dopo la città conoscerà un mostro talmente abietto e grottesco da ricordare gli orchi delle fiabe). Saputa la storia della ragazza prigioniera nella torre, decide di ucciderla, tanto per passare il tempo.
Si reca alla torre per mettere in atto il suo insano proposito, ma la fanciulla lo vede e riesce a sventare la minaccia lanciando alte grida, ma nessuno le crede quando racconta la sua disavventura. Quando però l'assassino ci riprova e riesce ad aprire la finestra, a ragazza terrorizzata gli taglia di netto la mano con un coltello (sequenza che ricorda "Shining" di Kubrick); l'assassino fugge, e quando la ragazza mostra il moncherino tutti le credono.

L'assassino, da questo momento senza mano, giura di vendicarsi, e subdolamente, qualche tempo dopo, si presenta a corte nei panni di un ricco gentiluomo con mani elegantemente guantate, e riesce alfine a convincere l'avido re (l'assassino è ricco in quanto depreda le sue vittime) a concederle la mano della figlia.
Non appena essa esce dalla torre per essere data in sposa e intravede il pur attraente futuro marito, qualcosa in lei la mette in guardia, una "sensazione", un deja vu su dove potrebbe aver già visto il promesso sposo, ma sulle prime non riesce a realizzare; questa è un tipico topos del thriller psicologico, la ragazza in pericolo che teme di esserlo anche se non sa perché.

Dopo un matrimonio squallido che alla ragazza però sembra faraonico in quanto con esso si libera del padre (figura, nella sua grettezza, ancora più spregevole dell'assassino, notare la finezza) il marito conduce la fresca sposa in una casa posta nel bel mezzo di una buia foresta, e le chiede se, per favore, "può aiutarlo a sfilarsi i guanti"; nel lettore, che ha già capito la situazione, pasa però un brivido lungo la schiena per il terribile modo in cui l'assassino decide di rivelarsi alla sua vittima, giocando come il gatto col topo.
Quando ormai però la fanciulla ha capito chi ha sposato, l'assassino non la uccide. No, sarebbe troppo bello per lei, ha in mente qualcosa di ancora più sottile, di ancora più terribile; la segregherà di nuovo, come prima suo padre; la mette alla catena come fosse un cane "Per far la guardia ai suoi tesori" poi sparisce e la lascia sola e terrorizzata. Se questo non è un thriller coi controfiocchi, disturbante e malefico, non so cosa altro possa essere.

Per uscire dalle secche di una situazione ingarbugliata, Calvino "gioca sporco" sapendo che sta pur sempre narrando una fiaba; immagina infatti che la foresta sia posta esattamente in riva al mare (in barba a ogni logica paesaggistica) e che la fanciulla sia avvistata da un bastimento che passa vicinissimo alla riva, e venga tratta in salvo. L'assassino però la insegue con la sua barca, e riesce perfino a salire sulla nave che l'ha tratta in salvo: lei è nascosta in mezzo a delle balle di cotone, e l'assassino, intuendo la cosa, comincia a colpire le balle con la sua spada, e attenzione, colpisce la sua sposa; ma il cotone pulisce la lama della spada quando l'assassino la estrae, e non si accorge di niente, e la fanciulla quindi se la cava con una ferita al braccio e un grande spavento.

Dopo questo episodio,  l'eroina in pericolo e braccata viene accolta da una famiglia di poveri pescatori (come Undine di La Motte-Fouque) e passa con loro anni, passando il tempo chiusa in casa a ricamare bellissime stoffe, che vengono notate nientemeno che da un re, che decide di recarsi alla dimora dei pescatori per vedere chi sia l'abilissima filatrice. Quando la fanciulla lo vede entrare, sviene dallo spavento, pensando che sia l'assassino tornata a prenderla. Il giovane re, ovviamente, se ne innamora e vuole sposarla, e la fanciulla accetta (la bigamia non è contemplata nelle fiabe..) a patto che lui le prometta di farla restare chiusa nel castello senza vedere anima viva, specialmente uomini; il re, figuriamoci, non potrebbe chiedere di meglio che averla tutta per se! inizia quindi per la ragazza una terza, stavolta volontaria, segregazione.
Ma, dopo qualche tempo, il popolo reclama di vedere la propria regina. Iniziano a circolare strane voci, che il re abbia sposato una scimmia, o una strega, o una gobba; per tacitarle, il sovrano è costretto a obbligare la moglie a presentarsi al popolo, e la fanciulla, conscia dei suoi doveri, accetta.
Il popolo rimane estasiato dalla regina, di una bellezza mai vista, e nel regno è festa grande; tra la folla esultante, però, c'è anche l'assassino, e quando la regina lo scorge, fa il gesto di portarsi la mano sana alla bocca e morderla; per la fanciulla questo gesto equivale a una condanna, e si rassegna all'ineluttabile, senza nemmeno avvertire il re. Cade ammalata per giorni, prostrata dal terrore, ma non rivela a nessuno il motivo di tanto strazio, tanto è demoralizzata.

In quei giorni, mentre la regina è a letto malata, si presenta a corte un distinto forestiero, ovviamente l'assassino; ben accolto a corte, durante un banchetto distribuisce senza badare a spese otri di vino, e tutti, re compreso, cadono ubriachi.
L'assassino ha ormai campo libero per il suo insano proposito, e quando si presenta nella camera della fanciulla, molti anni dopo dalla prima volta, lei è li "rincantucciata nel letto, occhi sbarrati, come se lo aspettasse".
ma, a questo punto, quando la vendetta è ormai cosa fatta, l'assassino commette l'errore tipico di tanti cattivi che alla fine devono pur sempre soccombere; vuole strafare, giocare a rimandare l'esecuzione, divertirsi. Infatti chiede alla fanciulla, credendo di averla in suo potere, una bacinella colma d'acqua e un asciugamano "per potersi lavare dal sangue quando avrà finito di ucciderla". A quel punto, l'istinto di conservazione ha la meglio; nell'asciugamano, la ragazza nasconde una pistola, e quando si trova a un metro dal suo aguzzino tranquillamente intento ad affilare il suo coltello, fa fuoco, ed esso cade morto sul colpo; tutti accorrono, e trovano la regina singhiozzante, finalmente libera dal terrore di una vita.

Per chi scrive questa fiaba nera, lo ripeto, senza alcun elemento fantastico, pur nelle sue inverosimiglianze andrebbe recuperata e inclusa regolarmente nelle raccolte di racconti più rappresentativi del thrilling; ha dalla sua un cattivo memorabile per tenacia e raffinata crudeltà, un ritmo incalzante e un senso della suspense, la fanciulla perseguitata che trova il coraggio di diventare carnefice; tutti o quasi gli ingredienti dei romanzi e dei film a tinte forti di oggi racchiusi in una favola di cinque pagine che gira (anzi girava...chi le racconta più, le fiabe?) per la mia Firenze da chissà quanto tempo. Niente male, direi.

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