lunedì 20 aprile 2015

"I QUATTRO CANTONI" DI REX STOUT


L’americano Rex Stout non è tra gli autori più considerati dai puristi del mistery, in quanto i suoi intrecci non sono niente di mirabolante; tutto vero, ma coloro che quando leggono polizieschi non cercano solo un plot mirabolante, non possono fare a meno di amarlo. Perché forse, anzi no sicuramente, Stout era la più grande penna della storia del poliziesco,era prima eccelso scrittore e poi rappresentante di un genere.

 Era, in questo, come Simenon, un Simenon più allegro, glamour e infinitamente più disincantato (Maigret in fondo è un eroe romantico..), con delle sequenze che sono dei veri capolavori di umorismo al vetriolo, su tutti i battibecchi tra il titanico e granitico Nero Wolfe e l’assistente Archie Goodwin, una vera e propria coppia di fatto del romanzo poliziesco, che appunto ci regala perle di vita di coppia come nessun Arcibaldo e Petronilla o Blondie e Dagwood hanno fatto mai.

Tutti i romanzi con Wolfe sono di piacevolissima lettura, e si casca più o meno sempre sul morbido. Ma ci sono delle occasioni in cui, oltre a una penna in stato di grazia, viene presentato anche un enigma di tutto rispetto, sia nello svolgimento che nella soluzione. Sono i casi del “La traccia del serpente”, “La lega degli uomini spaventati”, “La scatola rossa” e sicuramente questo “I quattro cantoni”, astruso titolo italiano di “Prisoner’s base”.

cover della prima edizione
 
 
Scritto nel 1952, nel pieno della maturità di Stout (che iniziò con un filotto di capolavori impressionanti negli anni trenta per poi assestarsi su un livello da straordinario a ottimo negli anni successivi) questo è uno dei suoi libri in assoluto più belli, profondi e convincenti.

Ambientato in una New York del dopoguerra già disincantata rispetto ai tempi di Van Dine, stavolta Wolfe si muove tra personaggi più realistici e “quotidiani”, senza il decor lezioso di personaggi come Lily Rowan (a proposito; ma lo stolido  Archie Goodwin gliele avrà mai strappate le mutandine in un impeto di passione almeno una volta? Quei due sono ancora più esasperanti di Perry Mason e Della Street..) o prestigiose competizioni culinarie, esposizioni di orchidee e altri ambienti glamour di solito prediletti dall’autore.

In realtà l’ereditiera pazzerella, la flapper fuori tempo massimo all’inizio c’è, e delle più sfrontate; la bella e giovane Priscilla Eads arriva al punto di chiedere a Wolfe di nascondersi in casa sua per un capriccio non ben chiarito, che è più o meno come chiedere a me di prestarvi una palmina, e infatti il misogino Wolfe, ignorando le proteste del galante Goodwin, la sbatte fuori. Scelta comprensibile ma sbagliata, visto che la bella Priscilla finisce uccisa nel suo appartamento, assieme alla sua cameriera. E siccome Goodwin, romantico cavaliere di ventura, si sente resposabile (al contrario di Wolfe che se ne sbatte altamente) inizia a indagare su una pista ben definita, in quanto la morta lascia un considerevole patrimonio in dollari e azioni da spartire tra quattro azionisti di maggioranza (i quattro cantoni del titolo)  dell'azienda di famiglia della quale da pochi giorni era diventata titolare,  ma Goodwin da solo vale il giusto, e finisce ben presto in grossi guai. Al sedentario  Wolfe toccherà recarsi fino in centrale per tirarlo fuori di prigione e infine, più per  sfinimento che per altro, accetta  di indagare e, dopo altri omicidi, uno dei quali particolarmente sgradevole ed efferato tanto da ricordare quelli narrati da Ed McBain, arriverà a una soluzione una volta tanto degna dei maestri del giallo classico, con tanto di riunione finale di tutti i sospettati in stile Poirot. E alla fine l’amarezza sarà tanta, in questo romanzo dove a morire sono le donne, e dove gli uomini giudicano, cercano di prevaricare, brutalizzano, ma non sanno proteggere.

In ogni caso, questo è un testo che va letto (meglio nella versione tradotta da Gianni Montanari nei classici del giallo n.730) come un grande esempio di letteratura Statunitense, uno spaccato di anni cinquanta con giovani vedove di guerra (quella di Corea) loschi affaristi, pubblicitari e stilisti di dubbia moralità, avvocati infidi..tutta una commedia umana di altissimo spessore, un vero e proprio capolavoro fine come seta e tagliente come un rasoio. Da non perdere.

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