lunedì 2 marzo 2015

"DINASTIA DI MORTI" DI CORNELL WOOLRICH.


I primi amori non si scordano mai, nemmeno quelli letterari. Ognuno di noi, lo ammetta, ha qualche libro del cuore, un romanzo letto in un momento particolarmente felice della vita o comunque quando si cercava proprio quel testo, il libro giusto al momento giusto; per questi determinati libri si nutre un amore viscerale e comprensibilmente parziale, si tende molto volentieri a soprassedere sui difetti guardando solo ai pregi.

Poi gli anni passano, la cultura aumenta, la capacità critica si affina, e spesso viene voglia, ricordando il testo tanto amato, di rileggerlo per vedere se esso, dopo una nuova lettura, è ancora capace di suscitare il medesimo innamoramento di tanti anni prima.

Con “Dinastia di morti”, titolo originale “Strangler’s serenade” pubblicato da Woolrich nel 1951 con lo pseudonimo di William Irish, avevo appunto un simile rapporto. Lo lessi per la prima volta a 16 anni, nella caldissima estate del 1998, nel mio amato (e ricordato nel post precedente su Olesker) omnibus “I magnifici sette del giallo”  uno dei pochi disponibili nella vecchia biblioteca comunale del mio paese, e ne rimasi letteralmente folgorato; straordinarie sequenze di suspense, momenti di pura paura, una piacevole storia d’amore; tutto quello che può elettrizzare a quell’età. poi, l’anno dopo, vidi in edicola, ancora fresco di stampa, il classico del giallo n.842 (tradotto integralmente dalla Francavilla, versione quindi consigliabile anche l’eidizione più vecchia tradotta da Bruno Just Lazzari non è affatto male), e lo portai subito a casa; la rilettura risultò altrettanto emozionante, e il romanzo diventò definitivamente un testo “cult”.
 


Per cui ieri, in una piovosa domenica adattissima alle atmosfere del romanzo, ho deciso di rileggerlo con qualche titubanza; e se mi deludesse? E se uno dei miei coup de foudre letterari, uno dei libri che mi ha fatto affezionare al genere, risultasse irrimediabilmente datato? In fondo siamo ben lontani dal grande Woolrich della serie nera, questa è una delle sue opere minori, un thriller avventuroso con un assassimo da scoprire in fondo abbastanza convenzionale, per giunta ambientato non in una grande città o nel profondo sud (palcoscenici ideali dei capolavori dell’autore) ma in una realtà estremamente rurale, un isolotto di 200 abitanti tra Boston e New York; insomma, il tutto non era certo nelle corde dell’autore.

Ma vediamola, la trama; un bel giorno di inizio estate, il giovane ispettore di polizia Champion Prescott, Newyorkese duro e puro, dopo essere stato ferito in una sparatoria viene mandato forzatamente in vacanza a Joseph’s Vineyard, sperduto isolotto abitato da contadini e pescatori. Prescott vi si reca malvolentieri, non si trova con i rurali abitanti, ma la conoscenza di una bellissima pittrice, Susan Marlow, peraltro sua concittadina che possiede una casetta nell’isola, lo fa decisamente acclimatare.

copertina originale "hot"

Non fa nemmeno in tempo ad arrivare che subito alcune persone iniziano a morire in modi misteriosi; sembrano incidenti, ma Prescott (che sfiga, povero assassino, compiere i suoi misfatti proprio quando un segugio della grande mela arriva a rompere le uova nel paniere…) dimostra che in realtà sono dei raffinati, diabolici omicidi. Le persone continuano a morire in modi alquanto spettacolari ( omicidi superbamente narrati dall’autore, che era un creatore di atmosfere nato, efficace anche nei romanzi scritti più di malavoglia) la comunità chiusa e in fondo violenta come quella dei padri fondatori insorge e incolpa un povero ritardato, giungendo fino a organizzare un linciaggio (una sequenza abbastanza anacronistica, nell’east coast degli anni cinquanta…) sventato da Prescott, che oltre a combattere l’assassino dovrà combattere anche i pregiudizi. Insomma, pian piano si arriva a capire cosa collega quelle morti misteriose (un movente abbastanza confuso e cervellotico a dire il vero, che appesantisce il testo) e dopo una emozionantissima notte d’orrore che coinvolgerà tutti i protagonisti della vicenda (ovviamente anche Susan, innamorata cotta del bell’ispettore) tutti i nodi verranno al pettine, e l’omicida (facilissimo da individuare, visto che l’autore presenta una rosa di sospettati veramente esigua) pagherà il fio delle sue colpe. E a Prescott non parrà vero di tornare a NY per riposarsi dalla terribile vacanza, e ovviamente non tornerà solo.

Dunque, la lettura di questo libro dopo quasi 16 anni dall’ultima volta è stata deludente? No.

Certo, il testo è quello che è; ci sono incongruenze, forzature un poco puerili, l’idendità dell’assassino è scontata, la storia d’amore che all’epoca mi parve palpitante è convenzionale al massimo, e si capisce quanto l’autore fosse a disagio con le storie romantiche a lieto fine.

Però ci sono tanti momenti esaltanti; il suspense è gestito egregiamente, i personaggi sono piuttosto verosimili (su tutti Lon Bardsley, figura di “scemo del villaggio” sfaccettata e attendibile), i due protagonisti sono simpatici, e il testo non conosce momenti di noia, spiegone del movente a parte. E l’atmosfera avventurosa quasi da “giallo dei ragazzi” che permea alcune sequenze in fondo è un valore aggiunto, un piacevole retrogusto vintage che fa sempre piacere.

Insomma, un Woolrich atipico e molto distante dai testi più celebrati, ma che nonostante tutto merita di essere letto a qualsiasi età. Anzi, per un adolescente, meglio cominciare a esplorare la narrativa dell’autore da un romanzo come questo, piuttosto che dalla serie nera; per il pessimismo e il fatalismo c’è tempo, prima è meglio divertirsi.

 

 

 

 

 

1 commento:

  1. Ciao Damian, grazie per il simpatico aggettivo "Luculliano" e per i complimenti al blog. Puoi citarmi quanto vuoi, anzi ti ringrazio per avermelo chiesto, visto che alcuni mi hanno addirittura copiato pezzi di articoli senza nemmeno chiedere il permesso....a risentirci!

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