venerdì 25 aprile 2014

LA DAMA DI COMPAGNIA, DI MARIE BELLOC LOWNDES.


Dopo "Il pensionante", anelavo fortemente di leggere un altro romanzo della Lowndes, ma l’unico altro titolo che sapevo essere stato tradotto in italiano era nientemeno che la palmina numero 8 del 1930, mai ristampata e quindi un libro molto raro da reperire; mi ero quasi rassegnato ad attendere la classica botta di fortuna che può arrivare domani o mai, quando scopro che una piccola biblioteca di Firenze, la biblioteca del Palagio nell’incantevole piazzetta di parte Guelfa (nei pressi di piazza della Signoria) ha nel suo catalogo PRATICAMENTE TUTTA LA COLLANA DEI LIBRI GIALLI, anche i più rari e introvabili. Sono il sogno di ogni giallofilo, e questo sogno è a pochi chilometri da casa mia. Purtroppo il prestito non è ammesso, si possono solo leggere in sede, ma che importa? Ora so dove passare il mio tempo libero,e se vi interessa e siete della zona ora lo sapete anche voi. Vantaggi di vivere a Firenze.

E quando mi sono chiesto con quale delle palmine più rare cominciare la lettura, ecco che la semisconosciuta Marie Belloc Lowndes si è imposta su tutti gli altri autori più blasonati, come se un sesto senso mi indirizzasse al suo libro. E, credetemi, il mio sesto senso ha avuto molta, molta ragione.

Ora, io vorrei proprio essere uno di quelli che decide le ristampe nei classici del giallo Mondadori. Certo, durerei poco, perché non farei altro che ristampare Palmine d'antan (finendo per stufare i lettori affezionati ad autori più contemporanei) , con quelle traduzioni accurate e modernissime che basterebbe solo rinfrescare, e soprattutto quei titoli veramente validi, che sinceramente non mi paiono nemmeno datati; certo, se per datato si intende vecchio, allora tutto si data prima o poi, ma se per datato si intende superato, spiacente (anzi no) di dire che questo romanzo della Lowndes scritto negli anni venti dà bellamente le paghe a tanti thrillers odierni.

Perché sinceramente da tempo non mi capitava di leggere un dramma d’anime tanto lucido ed efficace, e un tale ritratto al vetriolo della ricca borghesia Inglese degli anni venti. Sarà che quell’epoca ha su di me un fascino irresistibile, sarà che l’autrice abbonda in particolari e sfumature tale da restituircela con grande vigore, fatto sta che sono irrimediabilmente innamorato di questo libro, e vorrei tanto ma tanto poterlo ritrovare nelle librerie o nelle edicole.
 
Copertina di Abbey
 

Tanto per la tematica spinosa che per il ricorso alla inverted story, questo romanzo mi ha richiamato alla mente il celebre "L'omicidio è un affare serio" di Frances Iles alias Anthony Berkeley; come vedremo, i punti in comune tra i due libri sono parecchi.

Il romanzo inizia con un prologo ambientato in un’aula di tribunale, dove si discute il caso dell’omicidio di un ricco e meschino borghese di nome ( purtroppo devo usare i nomi Italianizzati, unico difetto della leggendaria collana Mondadoriana) Battista Raydon, avvelenato con l’arsenico e del cui omicidio è sospettata la bellissima, frivola e sensuale moglie Eva, già vedova di guerra al suo secondo matrimonio, una farfallina spensierata e inconsapevole dei problemi che crea la sua condotta, una cicala (Toscani, niente battutine scontate) tra le formiche, un personaggio che si dovrebbe odiare e al quale invece ci si affeziona quasi.

Battista ed Eva vivono in una incantevole casa nella campagna vicino a Londra, una bucolica magione denominata “Il mulino”,  voluta soprattutto dalla donna. La casa è mandata avanti con efficienza da Adele Strain, anch’essa vedova di guerra con figlio a carico, governante e dama di compagnia, personaggio chiave del libro; amica di vecchia data di Eva, le due vivevano insieme ai tempi della guerra, e Adele, ancor giovane ma precocemente sfiorita e priva di bellezza, accorta e pratica quanto Eva è distratta e scapestrata, riesce a far quadrare il bilancio nonostante le dispendiose abitudini di Eva, che si contrappongono tra l’altro alla natura avida e gretta di Battista, che si rifiuta perfino di concedere all'amatissimo figlio di Adele di andare a trovare la madre al Mulino per non dovergli dare da mangiare.

Il conflitto tra la dispendiosa moglie e il controllato marito giunge al culmine quando alcuni creditori si presentano a Battista reclamando debiti per quasi tremila sterline, cifra enorme per l’epoca; Battista obbliga la moglie a intaccare pesantemente la sua rendita di vedova di guerra per pagare i debiti, ma proprio in quei giorni l’elegante e piacente Giacomo Mintlaw , fiamma di Eva ai tempi della guerra, ritorna ricchissimo dal Canada (dove ha fatto fortuna con la corsa all'oro) e subito ricontatta la giovane donna, che ai vecchi tempi si limitava a flirtare con lui (e forse a concedersi di tanto in tanto, penso..) senza pensare a far le cose seriamente, mentre per Giacomo lei era ed è rimasta l’amore della vita;  rivedendolo di nascosto al marito la donna, intimamente lusingata da queste attenzioni, seppur sposata ricomincia con nonchalance quello snervante gioco d'amore. Giacomo, manovrato come un burattino, non esita a pagare i debiti di Eva evidantole ogni altro gravoso fastidio, ma Battista, che ovviamente non sa dell'esistenza di Giacomo, pensa che le finanze della coppia siano ormai gravemente intaccate, e impone alla moglie alcune restrizioni tra cui quella di licenziare Adele, cosa che la donna, in fondo stufa dell'amica che con la sua praticità le impone limitazioni e doveri per lei seccanti, accetta di fare a malincuore ma senza troppi patemi. Ma Adele, alla prospettiva di ritrovarsi povera, senza un lavoro e con un figlio ancora piccolo da mantenere (nel terribile capitolo in cui un impiegato dell'agenzia di collocamento le spiega garbatamente che di donne brutte nessuno sa che farsene si capisce quanto in fondo le cose siano sempre andate nello stesso desolante modo) decide di rubare dell'arsenico e avvelenare il cocktail serale  di Battista, sia per rimanere al Mulino (sa benissimo che Eva, incapace di cavarsela da sola, la farebbe restare) che per favorire un successivo matrimonio di Eva col dolce e simpatico Giacomo. Quando Battista, che soffriva da tempo di ulcera allo stomaco, muore tra atroci tormenti (spietatamente esposti dall'autrice), l'anziano dottore del villaggio non sospetta minimamente che la morte sia dovuta ad altro che a una perforazione ulcerosa; ma la madre di Battista, che da sempre odia Eva, quando tutto sembra ormai archiviato convince le autorità a effettuare un'autopsia, la tremenda verità viene scoperta e, dopo che il suo ambiguo rapporto con Giacomo viene alla luce, Eva viene accusata del delitto e arrestata.

Quindi, a questo punto, si innesca il meccanismo del suspense; cosa farà Adele? lascera condannare l'amica o espierà la sua colpa? e poi Eva, col suo appeal e la sua aria da bambina distratta, potrà comunque convincere i giurati della sua effettiva innocenza? E, proprio come nell' "Omicidio è un affare serio", ci troviamo divisi tra la voglia di giustizia e la pietà per il colpevole; Adele è forse una persona migliore di Eva e una vittima di quella società che lei ha sempre onorato come un comportamento fino a quel momento irreprensibile, ma al tempo stesso ci fa orrore che Eva, seppur con le sue mancanze, venga impiccata per qualcosa che non ha commesso. Battista Raydon, come l'odiosa moglie del dottor Bickleigh, merita forse un severo castigo per la sua grettezza, ma non certo una morte lenta e dolorosa come l'avvelenamento da Arsenico.

Nello splendido finale poi l'incubo si dissolverà, ma a caro prezzo per tutti. Non voglio spoilerare più di quanto abbia già fatto perchè questo libro, magari cercandolo nelle biblioteche (non ci sarà solo a Firenze) merita assolutamente di essere letto, vissuto e amato, perchè oltre a essere una inverted story e un procedural di prima categoria è perfetto unuando Batti oltre esempio di “melodramma contenuto” di stile Anglosassone, nel senso che seppur i personaggi amino, odino e spasimino lo fanno senza andare sopra le righe, e l’autrice riesce a trasmetterci emozioni sconvolgenti senza nemmeno una scena madre, il tutto con grandissima eleganza, proprio come nel "Pensionante" aveva saputo appassionarci all'apparentemente deprimente esistenza quotidiana di due vecchi senza un soldo. Non so se due indizi facciano la prova che la Lowndes era un’autrice di prima grandezza, ma certamente questi romanzi disponibili nel nostro paese sono due capolavori di stile, di gusto e di tensione emotiva. E questo, lo dico  con grande convinzione, sarebbe un romanzo pressochè perfetto per essere riproposto dalla Polillo nei suoi bassotti. Ma visto che la traduzione in Italiano esiste ed è bellissima (come tutte quelle di Giuseppina Taddei), la Mondadori non potrebbe estrarre dal suo caveau questo lingotto d’oro? Editor, se mai leggeste queste righe, un pensierino fatecelo, perché non è giusto che grandi romanzi come questo siano destinati a rimanere una rarità.

2 commenti:

  1. Fantastico! Pensare che avevi un tale "tesoro" così vicino e a portata di mano! Mi sembra quasi inutile aggiungere che la tua recensione mi ha fatto venire una voglia matta di leggerlo (come sai, io amo moltissimo le inverted story) , ma al momento non ho in programma gite a Firenze, quindi non mi rimane che sperare in un eventuale ristampa. La vedo poco probabile, ma chissà!

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  2. Magari nel prossimo autunno, in una di quelle giornate corte, grigie e piovose fatte apposta per leggere, potresti prenderti una giornata per rintanarti nella biblioteca in compagnia di questo libro; anche perchè la ristampa la vedo davvero improbabile, ormai da troppo tempo non vengono riesumate le antiche palmine...

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